In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Dobbiamo tutti un po' qualcosa al carissimo e simpatico Angelo Tulli,
testimone attendibile e relatore generoso di tanti fatti della storia bitontina,
specialmente quelli legati alla figura e all'opera di Gaetano Salvemini in
mezzo a noi. Dopo le testimonianze di Giuseppe Caiati(A)(B)(C)(D)(E)(F)(G)(H) e di Giovanni Modugno, che hanno profuso a piene mani, nelle loro opere e nelle lettere,
interessanti e inedite notizie su Salvemini, la memoria e l'archivio del Tulli ci
hanno affidato ulteriori particolari su una personalità che viene tuttora rivisitata con la memoria e con lo stupore del popolo che, finalmente, vedeva
qualcuno che faceva sul serio e si metteva al suo fianco.
In una lettera del 17 Aprile 1950, Salvemini raccomanda ad Angelo Tulli
di porgere le condoglianze a Vito Morrone che aveva appena perduto la moglie.
«Abbraccia specialmente per me Vito Morrone chiedendogli scusa se, oppresso come son dal lavoro, non gli scrivo come vorrei.»
Chi era allore questo Vito Morrone che Salvemini si premura di salutare da Firenze e, quattro anni più tardi, anche da Sorrento?
È presto detto: Vito Morrone era stato accusato, in punto di morte,
dal capo dei mazzieri locali, di averlo pugnalato in Piazza Cavour, in una
delle più tormentate vigilie elettorali bitontine. Era il 1919 e ancora una
volta Salvemini si presentava nella lista che si contrapponeva a quella
giolittiana (14). Il capo dei "mazzieri" locali dava man forte alla prepaganda
dei "galantuomini' che volevano scompaginare l'organizzazione dei nostri
"cafoni" anche con la... mediazione di quella violenta manovalanza.
Quella pugnalata troncò tragicamente una singolare carriera e provocò un processo ed una condanna che fecero epoca. Il Morrone si dichiarò
sempre innocente, ma il testimone a carico era proprio la vittima, e la Corte
fu inflessibile: il Morrone fu condannato a ventisette anni di carcere, scontati in massima parte in Sardegna.
Ernesto Rossi, sollecitato da Salvemini, riuscì a fare assegnare al Morrone, poi graziato per buona condotta, una pensione.
I dolenti personaggi di questa pagina di storia bitontina, coinvolti in
un crudele gioco delle parti, e il triste e penoso coinvolgimento delle loro
famiglie, meritano tutto il pudore della narrazione. Se la Storia assegna
ruoli diversi, la Morte poi tutti ricongiunge in un abbraccio pacificatore. E
noi dobbiamo ricordare, ma senza odio.
(14) M.Giorgio, id.