In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.

Avvenne il 02-05-1844 ...


"Le notizie avute dall'Italia furono le seguenti: I Calabresi si mantenevano armati e numerosi. Molta truppa occupava i declivi delle montagne e le città. Agl'inviti di immunità rispondevano non aver più a che fare col Re di Napoli. Difettavano di munizioni. Da Bitonto, in Puglia, una grossa banda sortì e, sotto gli ordini di... Occupò la foresta di Gioia del Colle. Un calabrese fu arrestato a Bitonto; egli confessò essere per le montagne disceso dal suo paese, dove aveva preso le armi, su Bitonto, apportatore d'un invito a... Le provincie di Lecce, Bari, Foggia e Avellino sono agitatissime".
E' un lettera di Emilio Bandiera e di Nicola Ricciotti, spedita a Giuseppe Mazzini da Corfù, il 2 MAGGIO 1844: una lettera (2) che delinea la possibile mappa di un coinvolgimento popolare che potesse fare da contesto attivo alla spedizione che punterà proprio sulla Calabria. La GIOVINE ITALIA si attendeva molto da una strategia messa a punto con particolare cura e con un dispiego di osservatori e spie nelle varie provincie del Regno che si cercava di sabotare. Nella breve lettera ben tre volte si parla di Bitonto, ma non riusciamo a riconoscere con certezza storica i protagonisti, quei "terminali" segreti e taciuti cui si rivolse quel Calabrese in difficoltà, che cadde nella trappola della polizia borbonica.
La lettera in questione, se é importante per l'ennesima coincidenza della nostra microstoria col quadrante della Storia, lo é anche per valutare quale fosse ormai la strategia mazziniana in ordine alla lotta che doveva destabilizzare i governi antidemocratici accreditati dal Congresso di Vienna.
Ormai Mazzini aveva superato la "fase terroristica" e localistica di alcune fazioni della Carboneria. "Anzi, in genere, disapprovava la Carboneria e ruppe con essa-afferma Leo Valiani-Volle un'associazione, la "Giovine Italia', che facesse appello alla lotta politica aperta. Questa prevedeva anche l'uso delle armi contro governi assolutistie tirannici che non permettevano alcuna libertà. Ma si trattava di una lotta armata con finalità di soppressione fisica degli avversari".
La preoccupazione di Emilio Bandiera e del Riciotti di rassicurare Mazzini circa l'"agitazione" che serpeggiava nelle provincie citate nella lettera, sono la prova che ormai la "Giovane Italia' non ricercava solo il bel gesto, ma un'azione corale efficace e capace di dare il colpo di grazia al regime borbonico.
Purtroppo si era ancora in anticipo sulla Storia... Ci vollero altri sedici anni e ben altre strategie e sinergie per prostrare quella monarchia!
Le informazioni che affluivano a Mazzini e, prim'ancora a Corfù, si rivelarono errate, o troppo ottimistiche. Nel Cosentino la rivolta che doveva facilitare l'impresa dei Fratelli Bandiera era già fallita. Nel giugno del 1844, dopo un breve e sanguinoso scontro a San Giovanni in Fiore, Attilio ed Emilio Bandiera furono fatti prigionieri e, un mese dopo, fucilati nel Vallone di Rovito.
Solo due anni era durata la loro militanza nella "Giovine Italia". Mazzini, lontano!..., registrava un altro fallimento sul piano militare. Quel sovversivo che egli sempre restò (soprattutto per il Governo italiano dopo quello piemontese, che l'aveva contrassegnato col numero 591 e poi col numero 129...), era il fallimentare regista di imprese che trovava giovani entusiasti, ma scarsi mezzl e scarse alleanze. Giuseppe Garibaldi, pochi anni dopo, più realisticamente, seppe trovare altrettanti volontari, ma soprattutto alleanze decisive.

(2) G. Pasculli, STORIA DI BITONTO, BITONTO 1978, II ed.