In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Un bitontino, nuovo a questa cronotassi, si presenta con alcune peculiarità davvero sorprendenti: aveva in tutto 16 nomi propri, era ultimo di 13 figli
ed ha esercitato la sua versatilità in ben 13 discipline!... Parliamo di Antonio
Planelli (Bitonto, 17/6/1737 - Napoli, 13/3/1803), "coadiutore di fiducia" di
Ferdinando IV(A), per ben dieci anni, fino al fatidico 1789: "religioso senza vanagloria, candido, lontano dalla cabala e dalla vile cortigianeria, tranquillo senza
essere adulatore", come lo definì il Marchese Villarosa circa centocinquant'anni fa!
Un suo autorevolissimo discendente, uno studioso di livello nazionale,
Giuseppe Planelli, aveva disegnato un ritratto esauriente ed equilibrato
dell'Avo nel contesto del Convegno di Studi su "CULTURA E SOCIETA IN
PUGLIA E A BITONTO NEL SEC. XVIII", promosso dal Centro Ricerche di
Storia ed Arte Bitontina: un ritratto che ci permette di ritrovare altre notevoli e
accreditate "fisionomie" nel cono di luce che ha lasciato il Cavalier Antonio
Planelli. Che sta infatti in buona compagnia col Genovesi, col Tanucci, col
Caracciolo e, addirittura, è 'sospettato' di aver ispirato a Ferdinando IV(A) il
mirabile, inatteso, avveniristico "Statuto di S. Leucio"! L'Autore poté proporre
un ideale di uomo e di comunità non solo a duecentodieci artigiani della filatura
e tessitura della seta, ma a coloro che quello Statuto conobbero ed apprezzarono: "un buon nome, ed una distinta reputazione nella Società si acquista
coll'esser temperante, giusto, retto, e virtuoso, dedito al travaglio, pieno di
carità, e di sofferenza, modesto, ed onorato, timorato di Dio, pieno di religione,
e di pietà compassionevole, lontano dai disordini, e dalle scostumatezze,
fedele, ed esatto nell'osservanza della parola, e de' patti, utile allo Stato, e caro
a Dio, ed agli uomini dabbene"
Antonio Planelli non ha lasciato nessuna prova di essere l'ispiratore o,
addirittura, autore di quello Statuto: la sua personalità schiva e discreta ha
trovato però in G. Tescione e in una sua pubblicazione congedata alle stampe
il 1940, non soltanto il riconoscimento della "paternità" dello Statuto della
Colonia di San Leucio, ma una descrizione che rivela le probabili cause del
sottotono con cui egli è consegnato alla storia e alla storiografia. Scrive, infatti,
G. Tescione che il Planelli fu "uno di quegli uomini che, per tenersi lontani dal
fragore della vita politica e dal fulgore deile alte cariche della corte e dello
Stato, e per la loro stessa modestia, finiscono col rimanere, col volgere del
tempo, nell' oscurità e nell'oblio".
Per fortuna, una lettera (da Rimini) del 12 MAGGIO 1783 dell'Abate Aurelio Bertòla consegna alla nostra memoria e meritata
considerazione quest'Uomo valentissimo, educatore e consigliere di un Principe che certa storiogratia ha ridotto a icona di reazionario, al
"borbonismo" e di macchietta!
Intanto, in quella lettera il Bertòla definisce Antonio Planelli "nel numero...di que' pochissimi che nel dolor degli amici prendono parte: abbiatela ora
ne' miei piaceri puri, sacri nell'ordine della natura, e pienamente degni della
vostra bell'anima".
L'Abate Aurelio Bertòla era della stessa Loggia massonica ("La Vittoria")
cui brevemente aderì il Planelli, ma la sua testimonianza arricchisce ulteriormente la fiosionomia psicologica, umana e sociale di un Uomo che col suo
trattato "SULL'EDUCAZIONE DEI PRINCIPI" aveva dato buona prova di
essere il pigmalione di un sovrano incappato in rivolgimenti epocali e certamente più grandi di lui.
Il Planelli cessò infatti il suo servizio accanto al Re proprio nell'anno della presa della Bastiglia: da quel momento in poi l'utopia
illuministica si realizzò nella concitata e cruenta scena di rivoluzionari
e di Giacobini allo sbaraglio, e quel Re ne uscì stravolto e sospettoso nei
confronti della "intellighentia" in auge nel Regno napoletano. Anche il
Planelli fu coinvolto in un maxiprocesso con ben 270 imputati, ma ne
uscì assolto e fu reintegrato come maestro di Zecca, continuando ad
essere destinatario di laute percentuali.
Visse in un periodo di crisi e di transizione, conobbe abbastanza anche
della nuova svolta storica, ma ormai gli stava a cuore mettere in atto un altro
"statuto", il suo testamento; che previde anche duecento ducati "ai più poveri
di detto Bitonto a titolo d'elemosina" e la rendita di un terreno coltivabile per
"vestire di lana i più poveri vecchi, inabili a procacciarsi il vitto col lavoro".
ll probabile Autore dello Statuto di S. Leucio, che forse aveva mutuato
dalla prassi benedettina le cordinate socio-economiche e spirituali della Colonia (infatti fu ospite di Montecassino per un ritiro spirituale), fu sepolto in una
chiesa ormai diroccata di Napoli, quella di S. Giovanni a Mare dei Cavalieri di Malta.