In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Vittorio Emanuele II morì il 9 gennaio del 1878: il suo letto di morte (come avviene sempre in casi del genere) fu subito il punto focale di infiniti cerchi concentrici commemorativi, fino alle più lontane periferie, per questo "lutto unanime, profondo, senza esempio ... O Signori, a tanta fermezza e generosità di propositi, a tanta lealtà, a tanta abnegazione congiungete le qualità, che naturalmente non possono scompagnarsi, d'un gran cuore, d'un grande discernimento e d'una prudenza sempre più perfezionata da tanti infrangenti; accoppiatevi, se volete, le qualità individuali d'uno specchiato valor militare e d'una bontà sorprendente; collocate queste virtù tutt'insieme sopra un trono, e fate che questo trono abbia la potenza di attirare intorno a sè una gente scissa ed umiliata, che là si sente popolo, e là prende moto e consiglio ad agire ed a vincere; fate finalmente che questo trono rappresenti l'affetto e la forza di tutto questo popolo vittorioso, e potrete ben intendere Chi sia l'estinto che si piange, e perchè l'Italia ne pianga tuttaquanta, e perchè l'Europa ne resti commossa".
Mi si passi la lunga citazione, ma come rendere altrimenti la commozione e l'enfasi oratoria che non la piaggeria, ma un sentimento comunque da storicizzare, ci hanno tramandato?
La citazione fa parte del Discorso funebre che il Consigliere Provinciale Domenico Sylos Calò pronunciò il 22 gennaio 1878 nella "Chiesa del R. Orfanotrofio Maria Cristina di Savoia in Bitonto".
Alla mistica del «Re Galantuomo» tanti di noi hanno creduto fino a ieri ("Noi non siamo insensibili al grido di dolore che..." eccetera eccetera), perchè non dovevano crederci i contemporanei di Vittorio Emanuele II, o almeno i più? Questo elogio funebre è un interessante documento di un modo di sentire, di una concezione politica e di una "religione" dello Stato, che ebbe i suoi adepti e i suoi cultori interessati o acritici o sprovvisti del troppo facile e comodo "senno di poi".
Ma sarebbe colpevole, sarebbe grave forma di irenismo culturale, continuare ancora oggi in un approccio alla Storia risorgimentale sul piano del sentimentalismo e /o dello sciovinismo.
Sembra che Cavour abbia detto: "Meno male che abbiamo fatto l'Italia prima di conoscerla". E noi, fatta (si fa per dire) l'Italia, ci priveremo ancora del dovere culturale di conoscere chi fossero veramente i Savoia?