In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.

Avvenne il 23-01-1902 ...


"Nel gennaio 1902, tornato convalescente a Mariotto - è Giuseppe Caiati(A)(B)(C)(D)(E)(F)(G)(H) che racconta - mi dovetti nei primi tempi vigilare e usare riguardi... Avevamo intanto delle belle giornate ed io cercai di non lasciarmele sfuggire tutte. Il 23 gennaio feci una corsa fino al «tratturo» che allora veniva erroneamente ritenuto la Via Appia e che correva erboso, largo, solenne come per tener distinta la parte brulla della Murgia da quella coltivata. Preso a sinistra e sedutomi su una prominenza all'inizio di via Toritto, lessi una delle «Odi Barbare» del Carducci: Sirmione. Non c'era anima viva..."
Che magia di trasfigurazione nella penna di questo "pugliese d'altri tempi"! L'umile e consueto paesaggio della bassa Murgia, spesso così uniforme e banale, come esce esaltato ed impreziosito dalla descrizione del Caiati! E il miracolo di una prosa così suadente continua. «Attraverso il "tratturo" e una zona di fiorenti vigneti, giunsi a 'Pietre tagliate' e di lassù potetti contemplare la campagna ìnvaporata digradante verso il mare e le bianche città pugliesi. Di lì mi spinsi fina alla Murgia Cerasa e poi ad un altro punto ancora più alto: Monte Castiglione...»
Penna egregia anche nel descrivere alcuni personaggi dell'epoca; Padre Rosario, prete «chiacchierato» ultraottantenne a Mariotto, e, soprattutto, le figlie del conte Rogadeo, "quelle che io solevo chiamare le 'pupazzoni', e v'era anche la più giovane di esse, una creatura mirabile che sembrava di altra razza e che per un morbo maligno doveva abbandonare la vita nella primavera di quello stesso anno".
Ah, il fascino morbosa dell'epoca umbertina! Caiati, in queste pagine, ha saputo conciliare l'evocazione veristica del nostro paesaggio con rapide pennellate degne del più toccante decadentismo.
E vero, "quando niente sussiste d'un passato antico... più tenui, ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore lungo tempo ancora perdurano, come delle anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo".
E chi, se non Proust, poteva meglio spiegarci l'incanto di un'epoca malata ma dolce, morbosa ma patetica, di perenne nostalgia?
Giuseppe Caiati(A)(B)(C)(D)(E)(F)(G)(H), ad un stato d'animo, ad uno stile universali, ha dato le cadenze del sentire bitontino.