In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Gli Alfonso d'Aragona sono tutti rimasti nella storia con un titolo che riassume, pur con la piaggerìa tipica di un'epoca, lo stile della loro personalità o del loro regno. Nell'ordine, da Alfonso I ad Alfonso V, furono: il Battagliero, il Casto, il Liberale, il Benigno, il Magnanimo. Ebbene, Bitonto ebbe modo di misurare proprio la «magnanimità» di Alfonso V che, finalmente padrone del Regno di Napoli e, grazie al Visconti, al sicuro dalle interferenze angioine, potè dedicarsi ad introdurre più solidamente le istituzioni spagnole nell'Italia meridionale e ad ascoltare le istanze che dalle periferie del suo regno venivano alla «Sacrae regiae maiestati».
Bitonto, forte di una tradizione di benefici e privilegi assicuratile dai predecessori di Alfonso V, e segnatamente da Giovanni II che aveva adottato quel re quando egli aveva 25 anni, il 1º marzo 1453, si presentò con una supplica densa di specifiche richieste che affidava all'attenzione e al beneplacito del re(1).
Bitonto chiedeva, tra l'altro:
1) che i suoi cittadini non fossero «tenuti... de dare alli capitanei et altri officiali, case, letti, panni, legne, palea, nè altre cose, eccepto con li denari de li detti officiali» (!);
2) che potessero organizzare, «secondo son stati soliti di fare per li tempi passati: ...la fera de santo Leo» esente, naturalmente, dal regime fiscale;
3) che «lo bestiame de li forastieri che se affidano allo herbagio de la Matina et de la Selva non possano nè debiano passare le carrare usate»...
Ho scelto solo le richieste più caratteristiche e significative di una epoca in cui i tanti balzelli imposti dal regnante, dai baroni, dalla Chiesa, prostravano l'economia delle città, per dar conto di un episodio rilevante della diplomazia bitontina che doveva pur districarsi fra gli scogli esosi della burocrazia del tempo.
Alfonso V fu dunque magnanimo anche con la nostra città, e dispose che «omni futuro tempore observent et faciant inviolabiliter observari» quanto egli riconcedeva alla «civitate nostra Butonti».
Si noti quell' «omni futuro tempore»: quel re evidentemente pensava ad una prosecuzione senza fine del «suo» ordine politico e sociale, e presumeva col suo editto di assicurare paternalisticamente ad una
città quei benefici che soltanto egli poteva contrapporre ai soprusi di tutta un'organizzazione sociale.
Per nostra fortuna la storia è andata diversamente, e noi non dobbiamo più guardare, come questuanti, alla mano dei padroni.
(1)«Libro Rosso» della Città di Bitonto (trascrizione MUCIACCIA), p. 95.