In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.

Avvenne il 19-03-1955 ...


«Onagrocrazia» significa «potere degli asini selvatici»: il termine risale a Benedetto Croce, e mi è sembrato opportuno ripescare questo neologismo così espressivo per introdurne l'odierna pagina di storia locale.
Bisognerà risalire appunto all'Era Fascista che ebbe anche da noi i suoi cultori attivi. Anche a Bitonto ci furono le grandi manovre per le adesioni della prima e (più numerose, come al solito) dell'ultima ora; e ci furono le esercitazioni a suon di manganello (sperimentate già sotto Giolitti) e abbondanti somministrazioni di olio di ricino ai più riottosi e tiepidi. Tutto ciò che non era «nero» o che non si rassegnava a tendere al nero, diventava un obiettivo da abbattere.
Capitò anche alla lapide, murata il 1902, dedicata a Felice Cavallotti, il letterato garibaldino e deputato di Sinistra dal 1873 al 1898, quando cadde in duello per mano di un giornalista, Ferruccio Macola.
Benedetto Croce aveva avuto per lui parole di apprezzamento e di stima senza riserve perchè «sempre in prima linea nelle lotte di ogni sorta, nel giornalismo, nelle aule dei tribunali e nel Parlamento, dovunque ci fosse qualcosa da compiere o da tentare al servizio di quelle idee».
Era stato attivo nelle guerre di Indipendenza; denunciò nel 1880 le centrali della dilagante corruzione politica; nel 1884 accorse a Napoli ove infieriva l'ennesima infezione colerica; fu tra gli irriducibili oppositori del Crispi.
Bitonto l'onorò con una lapide che lo esaltava


«soldato poeta oratore
che lottando nel Parlamento e nel Paese
per la libertà e la grandezza d'Italia
per la difesa degli umili
per la vindice morale nei pubblici agoni
aprì la via ai nuovi pugnanti
che dai solchi e dai tuguri
sorgono per compiere le umane giustizie».

Capite bene, una lapide del genere come poteva piacere, come poteva essere tollerata dai fascisti? Provvidero, appena si sentirono più sicuri, ad abbatterla, sicuri di aver liquidato per sempre, e ancora una volta, un testimone scomodo che rischiava in qualche modo di sopravvivere dopo che quel «provvidenziale» duello l'aveva tolto di mezzo. ...
Toccò poi ai fasci, ai busti e alle lapidi dell'Era cadere nella polvere, e l'Italia democratica dovè rimettere a posto la toponomastica urbana sempre tormentata nei periodi di crisi.
Il 19 marzo 1955 un Comitato di democratici provvide a ripristinare quella lapide e toccò a Federico Comandini(21), idealmente rivolto alle «correnti intellettuali e del lavoro» bitontine, onorare un Uomo che aveva sentito la passione redentrice del Risorgimento e le cocenti delusioni postunitarie. Stati d'animo che s'addicevano anche ai protagonisti superstiti della Resistenza.
(Ricordiamo, del Comitato, il prof. Ottavio Leccese e Angelo Tulli).

(21)F. Comandini, Felice Cavallotti, Roma, 1955