In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Ancora una volta, Bitonto fu merce di scambio, appannaggio, dote, nei contratti, nei matrimoni, nelle alleanze delle dinastie. E qualche volta era anche un feudo che non portava fortuna.
Il XIV secolo Bitonto visse le pagine forse più tormentate, in cui gli scalpellini avranno avuto il loro da fare a rendere irriconoscibili gli stemmi degli ex-padroni e ad approntarne di nuovi.
Il 23 marzo 1345, mentre nel Regno di Sicilia, alla morte di Roberto d'Angiò il Saggio, gli succedeva la diciannovenne nipote Giovanna I, per un matrimonio politico che univa la di lei sorella undicenne, Maria d'Angiò, con Carlo di Durazzo, esponente di un ramo angioino trapiantato in Albania, Bitonto diventò feudo del Durazzese che potè così godere delle 385 once in cui il feudo era valutato(25).
Le Matine, la Selva della Città, i tributi sulle merci importate e sulla macellazione degli animali, i ricavi dall'esercizio della giustizia e, addirittura, dal gioco: costituivano la cospicua gratificazione di un feudatario che non ne godè però a lungo. Fu infatti coinvolto nell'assassinio di Andrea d'Ungheria, sposo giovanissimo di Giovanna I, e il 1348, dove s'era sfracellato il corpo del giovane sovrano, eliminato da una congiura di cortigiani a cui non fu certamente estranea la stessa regina, lì, ai piedi del castello di Aversa, fu giustiziato Carlo di Durazzo. Si era imprudentemente messo nelle mani di Lodovido d'Ungheria, e questi lo processò per direttissima condannandolo alla medesima atroce morte che aveva troncato la vita del fratello Andrea.
Bitonto, ancora una volta, sarà trascinata in una guerra, e dovrà decidere da che parte stare: schierarsi con gli Angioini o con gli Ungheresi? Sceglierà questi ultimi, e dovrà subire un durissimo assedio, mentre sulle campagne si abbattevano le angherie delle truppe angioine che così speravano di fiaccare la resistenza della città.
Questo drammatico episodio rivelerà al De Simone le capacità diplomatiche della nostra gente, che da quel frangente riuscì a venir fuori con onore, anche se pagherà l'ennesimo tributo per fare allentare la pressione di un assedio che poteva avere tragiche conseguenze. «Quanta saggezza, quanta prudenza, quanta moderazione, quanto tatto, quanto senno, quanta previdenza in questa loro ambascerìa!», esclamava appunto il De Simone.
Possiamo dargli torto? In un'epoca di così grande confusione politica, l'importante era venire fuori dalla trappola degli avvenimenti apparecchiati altrove e giocati sulle martoriate scacchiere di turno. «Primum vivere!...».
(25)V. Acquafredda, Id., vol. II, p. 31