In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Dovremmo allora riscrivere la storia per le scuole locali: una storia di base che faccia da contrappunto alla storiografia nazionale, alla storiografia ufficiale; che recuperi i motivi
ambientali e che testimoni come i grandi avvenimenti si sono realizzati in un particolare microcosmo e quale eco vi suscitarono.
Specialmente per chi insegna, parlare di certi avvenimenti significa guardare solo in certe direzioni, narrare e commentare certi fatti, certi personaggi, sempre quelli, banalizzati
nel luogo comune, nella visita di rito.
Morelli e Silvati, Confalonieri, Pellico, Menotti, Mazzini.,. E della Carboneria abbiamo detto tutto, come di un universo lontano nel tempo e nello spazio: un vero e proprio caso
di presbiopìa culturale.
Vogliamo parlare di Carboneria? Ebbene, c'erano anche a Bitonto le «Vendite» ove questi sfortunati (e prematuri) patrioti s'organizzavano a cospirare. Anche a Bitonto
c'erano i riti e gli eroi di questa pagina di storia, romantica come nessun'altra!, scritta dai nostri «buoni cugini» insofferenti della dinastia borbonica, adepti generosi
della prima rivoluzione liberale italiana (28).
In alcuni frantoi della periferia c'erano i covi, e vi si celebravano i misteriosi riti di iniziazione e i giuramenti; si stabilivano i piani sempre troppo velleitari, si decodificavano
i messaggi che giungevano dalle altre «Vendite», si viveva precariamente la solidarietà prima di svanire nell'ombra, nell'anonimato. Prima che la polizia borbonica
schedasse con le temute qualifiche di «effervescente» o di «effervescentissimo» i malcapitati nella sua rete.
«Bruto Rinato» si chiamò una «Vendita» bitontina che aveva tra i capi un tranese, mentre un bitontino, Nicola Bovio, era il capo della «Anfido»
di Barletta (un prudente stratagemma per rendere più difficili l'individuazione dei capi e lo scompiglio nelle «Vendite»).
E proprio Nicola Bovio è il protagonista di un episodio che mette già in evidenza quegli aspetti emozionanti ed avventurosi che tanto piacciono ai ragazzi, naturali
consumatori di «storie».
Dunque, Nicola Bovio era un corrispondente telegrafico e proprio a lui, ignorandone la doppia vita, fu ordinato di telegrafare all'intendente che il moto insurrezionale ordito
dalle nostre parti, era ormai
agonizzante e non si attendeva altro che di colpire più a fondo e più duramente.
Era il 27 marzo 1821, e questa notizia, sì, fu comunicata, ma prim'ancora alla Carboneria che potè organizzare una pronta ritirata per scongiurare la
paralisi totale dell'organizzazione.
Basterebbe questo episodio per dimostrare che la storia di Bitonto è anche un discorso interdisciplinare, che permette addirittura di consacrare la tecnica
delle comunicazioni ai suoi primordi in un periodo storico che, in quanto a tecnica, sembrava fermo alle risorse dell'amanuense dello Spielberg.»
(28)E. SARACINO, La Carboneria a Bitonto, «La nostra Bitonto», 1/1961. p. 12.