In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Il diciottesimo secolo morì di un'agonia convulsa: il secolo dei «lumi»
s'accese di sinistri bagliori, ma non rinunciò al tentativo di costruire una
società più giusta, una cultura più spregiudicata, autonoma e tollerante,
nel contesto di una gestione della cosa pubblica più rispettosa dei diritti del
popolo, o almeno delle classi emergenti.
A Napoli, la milizia culturale e politica di Pietro Giannone, di Celestino Galiani, di Gaetano Filangieri; il veemente contagio delle idee francesi
dell'«Encyclopèdie» e della Rivoluzione; un disastrato terreno di coltura
per le più violente ed ambigue escandescenze dei rivoltosi e/o rivoluzionari
...il tutto confluì nella esaltante stagione della Repubblica Partenopea,
proclamata a Napoli il 1799.
Quella generosa e traumatica esperienza che anticipa di decenni le «repubbliche» sorte durante il Risorgimento e durante la Resistenza, durò solo un semestre, dal 23 gennaio al 23 giugno, e accanto al Caracciolo, al Pagano, al Cirillo, si segnalò anche un Bitontino, Giacinto Muscani, nato a Bitonto il 2 aprile 1758.
Gli avvenimenti di quel tormentato fine-secolo lo colsero, impaziente e animoso, nel saio (che gli andava ben stretto...) dell'Ordine dei Frati Minimi di San Francesco di Paola. Abbandonò il saio alle ortiche e l'ex Paolotto si arruolò nelle file di Ettore Carafa, che lo volle Capitano della Repubblica e ne sperimentò il coraggio in combattimento, quando dovettero affrontare la «milizia sfaccendata e ribalda» di Ferdinando IV(A) (come ebbe a definirla Pietro Colletta).
La fine prematura del sogno repubblicano a Napoli, per opera soprattutto del contrattacco del Cardinale Ruffo, lasciò Giacinto Muscani nelle mani della restaurazione borbonica: fu arrestato e subì per due anni una durissima prigionia. Ne uscì per miracolo (mentre non ne scampò l'illustre prigioniera che fu sotto la sua stessa bandiera: Luisa Sanfelice).
A1 Ruffo riuscì lo stesso gioco che aveva compromesso la rivolta di Masaniello, contro cui gli Spagnoli (e fors'anche la borghesia napoletana) avevano alienato le simpatie e la fiducia dei rivoltosi del 1647. II popolo, disorientato da una rivoluzione troppo borghese ed elitaria, non segui fino in fondo i reggitori della fragile Repubblica. E sulla bocca dei popolani coinvolti in cose (almeno per quell'epoca) più grandi di loro, fiorì una facile e disincantata rima: «Chi tene pane e vinu / ha da esse giacobino».
Giacinto Muscani, intanto, fu riaccolto nell'ovile dei Paolotti, ma la rinnovata stagione liberale di vent'anni dopo, lo vide nelle file della Carboneria. E infatti fu tra gli «effervescentissimi» della «Vendita» bitontina di «Bruto rinato».
Le ricerche sulla storia locale si stanno intensificando, soprattutto per merito di studi più recenti che gettano nuova luce su personaggi e fatti di Bitonto: «Ogni giorno è storia di Bitonto», insomma, potrebbe già ricominciare, perchè, quasi sempre, c'è giè un secondo avvenimento da commentare. Come oggi, ad esempio.
2 Aprile 1983: nasce «DA BITONTO - NOTIZIARIO MENSILE INDIPENDENTE CITTADINO» (una testata che è, in sè, tutto un programma!). E iniziano un impegno e una scommessa che, finora, mi sembrano vincenti, perchè «DA BITONTO» è riuscito a diventare una consuetudine e un'attesa per le nostre letture periodiche.
Già dal primo numero si affollarono tra le sue pagine nomi impegnativi, nomi che attirarono l'attenzione sul giornale: Mons. Aurelio Marena, Francesco Speranza, Joseph Sargent, Frate Francesco a Bitonto, Giuseppe Garibaldi, Vincenzo Rogadeo(B)... Nomi emblematici dei diversi livelli di lettura storica che il «nostro» notiziario già si proponeva, e proponeva, al suo nascere.
Certo, un notiziario cittadino è soprattutto destinato a registrare e dilatare la cronaca, ma lo spazio riservato alla Storia locale gli assicura uno spessore più autorevole sul piano culturale ed una perennità più sicura.