In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
Quando il 3 aprile 1919, Mons. Pasquale Berardi(A)(B)(C)(D) ricevette una lettera del prof. Eliseo Grossi, preside del Regio liceo di Bitonto, certamente aveva già intuito
il tenore di una missiva che, sapeva bene, prima o poi gli sarebbe pervenuta. Ricordava infatti la questione sollevata da un nutrito gruppo di parroci
(alcuni dei quali la mia generazione ha conosciuto su un dignitoso «viale del tramonto»: I Mons. Ferrante e Cuonzo, per esempio, e il teologo Perrini tra gli altri)
che avevano contestato senza mezzi termini, »l'opera di chi con mentalità e idealità sorpassate e condannate di massonismo e di anticlericalismo, che sono le vere basi
dell'odierno bolscevismo, cerca d'inoculare fra le masse del popolo per via dell'inquinamento spirituale della gioventù, energie deleterie del vero progresso e della vera
elevazione della patria nostra.»
L'incriminato era, appunto, il Preside Grossi, la cui carriera professionale, conclusasi al liceo «Tasso» di Roma, è stata ricostruita dal preside Cardone.
Il Grossi, dunque, secondo le allarmate e perentorie espressioni dei dodici firmatari della protesta, «si permette, in oltraggio e in contraddizione ai sentimenti
religiosi degli alunni, portare offesa alle serene risultanze della storia del pensiero, tanto, non solo da usare parole irriverenti e giudizi scorretti su persone e cose
religiose, ma anche da offrire spontaneamente agli alunni libri che trascendono la loro capacità intellettuale e la loro funzione critica, al solo scopo di opprimere e deviare
il loro spirito dalle avite convinzioni, in nome di una pretesa scienza sempre discutibile».
Il caso era scoppiato il mese precedente e aveva messo a rumore gli ambienti cattolici e laicisti della città con un intenso scambio di punti di vista, e fuori dai denti.(2)
Ora Grossi non smentiva, nella suddetta lettera al Vescovo, né il tono né i contenuti della sua opera di capo d'istituto e d'insegnante, ma partiva all'attacco quando
metteva in dubbio che quegli zelanti sacerdoti parlassero a nome dei preoccupati genitori. Anzi esibiva la solidarietà non anonima di parecchi genitori, i quali non contestavano
affatto il preside, bensì stigmatizzavano le «forze estranee alla scuola» intervenute a «turbare l'indirizzo italianamente laico della scuola».
L'episodio è significativo per recuperare alla nostra memoria anche il ricordo di una convivenza non serena, talvolta intollerante, tra la chiesa locale e la Scuola di Stato.
Sulle spalle di Mons. Berardi, che certamente non era sulla lunghezza d'onda dell'intervento censorio di quei suoi sacerdoti (il cui capocordata forse era Mons. Calamita), cadeva un'annosa
questione che altrove era stata già risolta con un confronto più tollerante o con un esplicita emulazione. Ora, tenuto conto che la questione adombrata nelle lettere qui esaminate è, per
fortuna, soltanto da storicizzare, personalmente ritengo che la volontà di partecipazione di polemica manifestate nel dibattito a distanza tra il Preside Grassi e quei sacerdoti
rivelano comunque una grinta che non esiterei a consigliare all'attuale presbiterio. Che, con più competenza e passione, dovrebbe confrontarsi, almeno al proprio interno, sui grandi temi
e problemi di cui è disseminato il nostro presente in area scolastica. A cominciare, come affermava da par suo Don Lorenzo Milani, dal problema di tutti quegli utenti che la scuola
perde, o non ha mai raggiunto.
(2)Vincenzo Robles, I cattolici e la scuoa statale a Bitonto;«Studi Bitontini» 24/26