In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
«Francesco contemplava la natura con gli occhi stupiti e riverenti con cui la vide il primo uomo nel primo mattino radioso del mondo» (ENGLEBERT).
«La vita di San Francesco fu una celebrazione di libertà nello sforzo vittorioso di liberarsi da quanto intralciava il suo ideale: la povertà totale...
prima amare e poi rinunciare» (PADRE GEMELLI).
Scegliamo, secondo la nostra congenialità, l'una o l'altra interpretazione di quel miracolo umano e divino che fu Francesco d'Assisi(A).
Comunque sia, che lo sguardo si posi su di lui con riserve laicistiche
o con lo sguardo entusiasta del credente, non potremo ripararci abbastanza dal fascino di quest'Uomo che si fece così disponibile e
attento al suo Dio e ai fratelli «nel» creato.
Nel rigore del Medio Evo Francesco fu un'esplosione di gioia e di grazia, come la prima gemma turgida su un ramo ancora stordito e fiaccato dai brividi invernali.
E il fascino di quella esperienza di fede
e di pienezza umana, mosse ben presto al di là della fortunata Assisi e dell'Umbria, e percorse ogni contrada, ovunque la Parola sembrava
nuovamente incarnata nel Cristo nuovo del Duecento, in Francesco.
Morì il 1226 presso quel luogo «veramente santo e abitazione di Dio» che fu ed è la Porziuncola. E, come succede in questi
rari ma strepitosi casi della storia dell'uomo, la morte ne dilatò lo spirito, e chi conobbe la novella francescana, Lo sentì più
vicino. Francesco fu adorato dai suoi contemporanei e dai suoi primi posteri, senza riserve, con trasporto. E con la mediazione dell'arte, magari sulla
scia delle patetiche bugìe del passaggio del Santo da questa o da quella contrada, sorsero conventi, eremi, chiese nel suo nome e nel nome della sua
spiritualità che gli uomini del Medio Evo accolsero come una liberazione, come una religiosità alla portata di tutti, proprio perchè sublimava
il dato di fondo, sul piano sociologico, di quell'epoca: l'indigenza, «Madonna Povertà».
«La povertà - commentava Padre Gemelli - rende l'azione francescana audace, sia perchè, non avendo da perdere nulla, osa tutto;
sia perchè la fiducia in Dio, che è propria dei poveri, spinge ad imprese, che chi contasse sui mezzi umani, non arrischierebbe mai».
Anche a Bitonto si raccontò a lungo la bella leggenda del passaggio di Frate Francesco, il quale volle lasciare al popolo bitontino la sua «scarpa». E, quando
una congiuntura storica sembrò in qualche modo coincidere con il Santo (gli Angioini si sentivano un po' i padrini almeno di Bernardone), ecco la donazione di
Carlo d'Angiò, sancita su pergamena i1 29 marzo 1283: a Frate Giacomo dei Francescani, il re concedeva in dono un terreno su cui, secondo la tradizione,
sorgeva un castello svevo a ridosso degli spalti dell'attuale Seminario. Gli Angioini, alla morte di Federico II, l'avevano distrutto, e parte di quel terreno
(che coincide con l'Acropoli bitontina, nei pressi dell'antichissimo tempio di Minerva) fu destinata alla costruzione di un tempio alla dolce memoria del Poverello.
La direzione dei lavori fu dal re affidata ad un fedelissimo, Sergio Bove: la chiesa sarà consacrata tre anni dopo, a 60 anni appena dalla morte di S. Francesco.
Auguriamoci intanto di poter tornare, e al più presto, in una chiesa così significativa(30) per il suo passato e per i pregi architettonici
soprattutto della facciata a cui i sapienti restauri stanno restituendo la purezza e la preziosità delle linee.
(30)S. Milillo, id