In questa sezione mi onoro di riportare una piccola antologia di fatti ed eventi bitontini, raccolti dal compianto Marco Vacca, che me ne fece dono tanti anni fa, quando per la prima volta incominciai a gestire qualche sito. Penso che questo tributo gli sia dovuto e spero che questa mia scelta non sia interpretata dalla grande moltitudine di suoi amici come un tentativo di "appropriazione indebita" da parte mia.
In una preghiera del 1898, sul retro di una vecchia immagine di S. Gaetano(C)(D),
Lo si invoca come "singolarissimo esempio di assoluto abbandono alla Divina
Provvidenza".
Ora, S. Gaetano(C)(D) ha un posto importante nella storia religiosa e civile di
Bitonto: morto il 1547, continuò a vivere nella sua "Congregazione della Divina
Provvidenza" che, a fianco delle Opere di Girolamo Emiliani, di Camillo de Lellis(A), di Ignazio di Loyola(B), arricchì l'opera missionaria della Chiesa con nuovo
impulso apostolico.
Bitonto, già dal 1604, accolse i Teatini(E) che lasceranno interessanti e
documentate pagine di storia ove è registrata la loro presenza tra noi.
Il 14 gennaio 1720 moriva il primo e unico Vescovo teatino che ebbe
Bitonto: Mons. Giovan Battista Capano, un prelato napoletano che, se non
fosse prematuramente scomparso, avrebbe incarnato veramente la fede efficace
nella Provvidenza, quella "superna Provvidenza" che esiste per i singoli, e
certamente anche per le città.
Insomma, Bitonto, due secoli prima della immane opera dell'Acquedotto
Pugliese, avrebbe avuto il suo acquedotto lungo ben 18 miglia! "Per realizzarlo
- nota Donato Antonio De Capua - egli aveva fatto venire alcuni ingegneri da
Roma e aveva accumulato con sacrifizi la somma di dodicimila ducati"
(prendendo anche dalla sua eredità).
Ma non se ne fece niente. Mons. Capano morì, e quel denaro andò a finire
negli stucchi alla moda della nostra Cattedrale, per volontà del successore,
Mons. Cedronio.
Lo ricorderemo, quest'ultimo, come vescovo da nulla, e per quel "barbaro
restauro", come lo definì Luigi Sylos sin dal 1893, e come praticamente lo
giudicò Mons. Aurelio Marena quando lo eliminò.
Per l'acquedotto, sarà per un'altra volta. Soltanto duecento anni più tardi.